Ma nel post-covid quale sarà’ il giusto equilibrio: uno, due o tre giorni alla settimana in smartworking ? Questa e' una delle domande piu' frequenti che ho ricevuto in quest'ultimo periodo. Penso che ci si stia semplicemente ponendo la domanda sbagliata e si continui a confondere il lavoro da casa con lo smart working.
La domanda da porsi dovrebbe forse essere: "se un collaboratore ha svolto l’attività che gli era stata richiesta nei tempi e con la qualità attesa, se lo chiamo la mattina alle 10.00 per complimentarmi e non mi risponde e mi richiama alle 10.30 dicendomi che era in palestra che tipo di reazione produce in me ? mi disturba oppure no ? "
Se questa situazione mi crea disagio meglio non spendere soldi in tecnologia e gruppi di lavoro per decidere se nella fase post-covid dovranno essere uno, due o tre giorni di lavoro alla settimana in ufficio, meglio forse ripartire subito da dove ci eravamo lasciati quattro mesi fa.
Se invece imprenditore o capo azienda non vivono con disagio questa situazione allora devono porre la stessa domanda ai propri manager così da comprendere chi è’ pronto da subito, chi puo’ essere aiutato nella transizione e chi purtroppo ossessionato da status e controllo non riuscirà proprio ad adattarsi ad un modello diverso e dovrà inevitabilmente col tempo essere sostituito, perché in tempi di cambiamento si sa..."chi non cambia deve essere cambiato".
lo smart working non è per tutti, non lo è per tutte quelle professioni che richiedono un luogo definito per poter svolgere la propria attivita', non lo è per tutte quelle attività che richiedono prossimità e interdipendenza temporale, non lo è’ per chi non ha una cultura del lavoro che si basa sulla fiducia e non sul controllo, sui risultati e non sulle ore di lavoro e soprattutto non lo e' per chi ha una classe manageriale orientata al controllo e quindi non adeguata a gestire questo cambiamento.
Bisogna riflettere seriamente se si è disposti a passare dal comprare il tempo dei propri collaboratori a remunerare le performance, dove il luogo e talvolta il tempo nel quale vengono prodotte diventa del tutto irrilevante. Bisogna riflettere se veramente si e' pronti a fidarsi dei propri collaboratori e se si e' disposti a restituire loro tempo.
In fondo se ancora pensiamo di comprare il tempo delle nostre persone abbiamo comunque perso in partenza perche' per quanto lo si possa pagare, vale infinitamente di piu'...
Io fatico a comprendere perché inseguiamo professionisti per portarli nelle nostre organizzazioni, cerchiamo di ingaggiarli emozionalmente, di sedurli per portarli a bordo nel nostro viaggio. Li sottoponiamo ad un numero infinito di colloqui, facciamo puntuali background check, verifichiamo ogni tipo di referenza ed infine quando li abbiamo finalmente a bordo passano in un minuto dall'essere oggetti di corteggiamento e del desiderio a potenziali "furbetti ", cosi' li inseriamo all'interno di processi aziendali ingessati e li affidiamo a manager che esercitano un controllo maniacale affinché non "battano la fiacca".
Per intenderci, quelli che nel periodo di remotizzazione forzata del lavoro da casa chiedevano ai propri collaboratori di tenere il video accesso dalle 9.00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00 per poterli controllare....
Io sono fortemente convinto che la stragrande maggioranza delle persone lavori per perseguire in modo leale ed etico il miglior interesse dell'azienda per la quale lavorano, certo esisterà sempre una esigua percentuale di persone scorrette che perseguono esclusivamente il proprio fine in modo non etico e discutibile, ma perche' sottoporre ed imbrigliare la stragrande maggioranza delle persone di un'azienda in meccanismi e processi che ne inibiscono il potenziale solo per proteggersi da una porzione minima di collaboratori sleali, che tra l'altro se sufficiente scaltra, sara' comunque in grado di aggirare i processi e raggirare i propri manager per continuare ad agire in modo scorretto e non venire alla fine mai scoperta ?
Perché non ripartire invece dimenticando per un attimo la questione "tempo" e mettendo invece al centro della discussione parole come "fiducia" "obiettivi" e "risultati" e provare a costruire modelli in cui mettere le persone nella condizione di svolgere con piacere il proprio lavoro ? Forse nel ventunesimo secolo continuiamo a porci le domande sbagliate...
Gary Hamel scriveva:
“Se c'era una sola domanda che ossessionava i manager del ventesimo secolo, da Frederick Taylor a Jack Welch, era questa: come possiamo ottenere di più dalla nostra gente? A un certo livello, questa domanda è innocua: chi può opporsi all'obiettivo di aumentare la produttività umana? Eppure è anche carico del pensiero dell'era industriale: come possiamo (che significa "Management") ottenere di più (che significa unità di produzione per ora) dai nostri dipendenti (ovvero gli individui che sono obbligati a seguire i nostri ordini)?
Ironia della sorte, il modello di gestione racchiuso in questa domanda garantisce virtualmente che un'azienda non otterrà mai il meglio dalle sue persone. Vassals and conscripts may work hard, but they don’t work willingly.”